Pubblicato su Persone e Conoscenze Marzo/2006
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«Man mano che si avanza in carriera si viene giudicati in base alla capacità di articolare un punto di vista. Quando si raggiungono i livelli più alti, l’abilità di comunicare un poco meglio degli altri diventa un asset tremendo».
La frase è di Donald R. Keough che è stato presidente della Coca Cola. Uno dei maggiori guru del management a stelle e strisce Tom Peters è più laconico: «La comunicazione è tutto».
È condivisibile la forma con cui tali concetti sono esposti? Sicuramente lo sono i contenuti. Viviamo in un mondo iper competitivo dove «tutto può essere facilmente stampato nell’Estremo Oriente per meno di 10 dollari». Se è sempre stato vero che la percezione è realtà, ed essa è frutto della comunicazione associata, oggi lo è ancor di più. Dove l’informazione è ubiquitaria e tutti noi siamo sovra esposti ad ogni possibile forma di comunicazione. Ecco allora che la differenza risiede ancora più nella qualità di quest’ultima.
Che cosa serve per ottenere delle presentazioni efficaci? La risposta è più semplice di quel che si potrebbe pensare: un buon presentatore (adeguatamente preparato, aggiungo io). Da sempre la comunicazione, gli affari e le relazioni avvengono fra esseri umani, eventualmente intermediate da «macchine», come il telefono, ma ai due estremi del processo comunicativo sempre due, o più, persone. Avete frequentato qualche corso di vendita? Avrete probabilmente sentito dire che le aziende non esistono, che esistono solo delle persone che comprano da (o vendono a, a seconda dei punti di vista) altre persone. Se vogliamo questa affermazione è un corollario, una conseguenza, logica e naturale del fatto che la comunicazione avviene fra persone. Quest’ultimo esempio si può anche leggere al contrario per ricordarci che non esiste la comunicazione fra aziende. O almeno non nell’accezione qui prevista.
Le presentazioni sono una forma di comunicazione dove tipicamente un soggetto cerca di trasmettere un messaggio ad una platea più o meno ampia. Quando questo avviene, cioè quando la presentazione trasmette un messaggio? Sempre. Se poi il messaggio trasmesso è abbastanza simile a quello che in origine l’oratore voleva comunicare allora si può definire la presentazione efficace. Esse sono molto comuni sia in ambito lavorativo aziendale che politico ma anche sociale o durante il proprio percorso educativo, che per chi lo svolge nella sua interezza culmina con la presentazione della tesi di laurea. Da un punto di vista storico si hanno notizie di tale pratica sin dall’antichità, basta pensare a Corace e Tisia: costoro, infatti, furono i primi esponenti della retorica siciliana, e, probabilmente verso l’anno 465 a. C., redassero una sorta di «manuale» di retorica, con lo scopo di favorire quanti avessero subito l’esproprio delle proprie terre e dei propri beni da parte del tiranno di Siracusa, Trasibulo, ed avessero voluto riappropriarsene mediante un’azione giudiziaria condotta in tribunale. Ed è più che ragionevole pensare che l’arte di (saper) parlare in pubblico abbia radici che si perdano nella notte dei tempi, anteriori anche alla scrittura. Ad oggi la capacità di saper presentare è cambiata? Non molto. Allora si trattava di saper interessare il pubblico, informarlo, trasmettergli un messaggio in una forma ad esso comprensibile, e spesso condivisibile e laddove necessario persuaderlo ed eventualmente motivarlo ad un’azione. Oggi valgono ancora esattamente gli stessi principi. Da un punto di vista «tecnico» i due principali cambiamenti che sono occorsi nel tempo sono: il pubblico oggi è mediamente più colto (e sovraesposto alla comunicazione) e vi è un maggior ricorso (abuso direi) ai supporti visivi. Quest’ultimo punto porta alcuni ad un’errata convinzione che la comunicazione sia demandata ai supporti visivi stessi. Nulla di più sbagliato. Oggi, nella loro forma più comune, e cioè le presentazioni basate su PC, essi sono ubiquitari. Fino a mutare, spesso e purtroppo, il loro scopo originario. I supporti visivi sono infatti un ottimo strumento, quasi irrinunciabile, per aiutare (supporto, appunto mezzo e non fine) il pubblico a focalizzare (visivo) concetti, dati e messaggi. Non per sostituire la comunicazione umana. Anzi, al contrario, poiché vi è una abbondanza di supporti visivi, e l’utilizzo del computer ne ha alzato enormemente la qualità grafica media, di fatto equiparando o almeno livellando l’impatto visivo, è l’essere umano che può fare e fa la differenza.
Detto con le parole di Roger Aisles, grande esperto di comunicazione, e consulente di Ronald Reagan nella sua campagna per la elezione al secondo mandato: «You are the message». Chi comunica è prima di tutto il messaggio. Sia perché ha il compito di veicolarlo rendendolo efficace e credibile. Ma anche perché la sua efficacia e la sua credibilità sono intrinseche a quelle del messaggio. L’autorevolezza, la rispettabilità e l’onestà, intellettuale e morale, del relatore hanno un impatto enorme sul messaggio che trasmette e sulla sua valutazione da parte dell’audience. Ciò sia in forma esplicita od implicita, dove qui intendo se le succitate qualità del presentatore sono note all’auditorio (esplicita) o se invece quest’ultimo non ha nessuno accredito formale presso il pubblico (implicita) e la sua credibilità è demandata alla sua capacità comunicativa ed a fattori comportamentali. Una semplice applicazione, ed al contempo riprova, di tale concetto è il maggiore successo commerciale delle tele-promozioni proposte da un presentatore noto e gradito al pubblico, rispetto alle medesime con un venditore sconosciuto.
E’ quindi essere conosciuti l’aspetto cruciale? No, uno speaker insicuro, monotono, che evita il contatto visivo con il suo pubblico, impacciato nei movimenti o estremamente nervoso può facilmente distruggere la migliore delle presentazioni. Al contrario una voce sicura, un esposizione energica ed entusiasta ha il potere di svegliare l’auditorio e rendere il messaggio più credibile ed interessante rendendo la comunicazione, in ultima analisi, più efficace. Per contro nessun supporto visivo ha la capacità di entusiasmare, eccitare o coinvolgere in maniera efficace il pubblico, sebbene alcuni di essi mal costruiti possano sì indurre sonnolenza. Quando ho iniziato ad occuparmi di formazione nel campo delle presentazioni, oltre dieci anni fa, molti facevano ancora uso dei trasparenti a volte scritti a mano. Mi ricordo di una presentazione in cui si mostravano, nell’ambito di un’azienda multinazionale, le differenti culture europee, e di conseguenza le diverse modalità di conduzione degli affari. Ogni racconto scherzoso aveva lo scopo di rappresentare per stereotipi un aspetto della cultura di quel paese. Per la Germania la storia riguardava un bambino che non aveva mai parlato in vita sua quando, all’età di 10 anni, a tavola con i genitori, guardandoli con tono pacato dice «Salz bitte!». I genitori attoniti: «Ma se sapevi parlare perché fino ad ora non lo hai mai fatto?». E lui serafico: «Perché fino ad oggi andava tutto bene». La barzelletta oltre ad essere ingenerosa per i tedeschi ci fornisce un ottimo esempio di non-comunicazione, oltretutto attribuito alla categoria dei bambini dalla quale spesso possiamo imparare molto, e per i quali l’efficienza comunicativa è fondamentale.
Mia figlia ha poco più di sei mesi, ha una sua audience stabile: la mia compagna, una gatta di un anno ed il sottoscritto. Pur non sapendo esprimersi in italiano corrente, e non disponendo neanche di supporti visivi basati su PC, è sempre stata capace di farsi capire a dovere. Il pianto di un lattante arriva a «toccare» i nervi dei genitori, ed esistono pianti diversi per ogni motivo e per ogni bambino. Ed ogni genitore in breve acquisisce la capacità di distinguerli in modo univoco. Allo stesso modo quando mia figlia sorride, nella sua maniera, unica come tutti i bambini del mondo, ha la capacità di sciogliere i nostri cuori, risvegliando così le nostre emozioni ed eventualmente motivandoci a qualche azione.
Entrambe le forme di comunicazione, il pianto ed il sorriso, hanno dei punti in comune. Vorrei sottolinearne due: trasmettono dei messaggi in modalità non verbale ed hanno la capacità di «attivare» delle emozioni nell’audience. Per modalità verbale intendo non attraverso le parole ma altri stimoli sensoriali, tipicamente nelle presentazioni essi ricadono o nella comunicazione vocale (tono, volume, ritmo, pause) o nella comunicazione visiva (postura, gestualità, aspetto). Questi due aspetti, cioè vocale e visivo, hanno un impatto enorme, molto superiore a quello che ci aspetteremo a «prima vista», sulla credibilità che ho prima definito implicita. Ovvero l’insieme di fattori che portano il pubblico a formulare, in maniera conscia od inconscia, delle asserzioni sullo speaker in termini di: autorevolezza in materia, credibilità, onestà e competenza. Uno studio del professor Albert Mehrabian della UCLA ha mostrato che l’insieme di comunicazione vocale e visuale hanno un impatto del 93% (per la precisione rispettivamente del 38% e del 55%). Se vogliamo vedere lo stesso dato da un’altra angolazione potremmo dire che in fondo ai bambini manca solo il 7% dell’intera torta della comunicazione.
Quale è il messaggio positivo che si può evincere? Sin dalla nascita siamo abituati a comunicare senza ricorrere necessariamente alla parola scritta od orale, utilizzando altri mezzi quali la voce (nella sua accezione più estesa, incluso il pianto) le espressioni facciali o la gestualità. Certo con l’utilizzo del linguaggio noi possiamo semplificare e soprattutto accelerare la comunicazione. A volte ci vuole oltre un minuto di interazione con mia figlia per capire che tutto quello che vuole è stare seduta, adora questa posizione, quando la situazione si sarebbe potuta risolvere in un secondo se semplicemente mi avesse detto «mettimi seduta». Le parole sono un bene ineguagliabile per comunicare fra essere umani in maniera veloce ed efficiente. Se scelte accuratamente ed appropriate, di fronte ad un pubblico colto, possono contribuire a testimoniare la nostra competenza nella materia oggetto di esposizione. Ma il nostro corpo comunica molto più delle nostre parole, ed ancora più dei supporti visivi che accompagnano le nostre presentazioni. Ecco quindi che diventa fondamentale dedicare l’attenzione alla comunicazione nella sua interezza, ciò che si dice ma soprattutto come viene detto, solo così si possono ottenere quei risultati di credibilità ed efficacia comunicativa desiderati.
Torniamo ora al secondo punto importante relativo alla comunicazione dei neonati: la capacità di suscitare emozioni nel loro pubblico, i genitori ma non solo. Quest’altra caratteristica è altrettanto importante e strettamente legata alla comunicazione non verbale. Essa infatti permette, se correttamente utilizzata, di interessare il proprio pubblico, di coinvolgerlo, renderlo partecipe ed in ultima analisi motivarlo ad un azione.
Tengo corsi di comunicazione e sessioni personali di public speaking da oltre dieci anni, spesso quando si arriva a questo punto mi viene posta la domanda «D’accordo, ma, in pratica, come si può comunicare con le emozioni?». La risposta ovviamente non può essere né univoca né prefissata. Ciononostante l’inserimento di elementi emozionali, positivi s’intende, all’interno di una presentazione non è affatto complicato. Un primo passo, anche banale, è nella scelta del linguaggio e della terminologia usata. Concetti «visibili» al posto di «astratti» (1 persona ogni 3 in molti casi è meglio del 33%). Il ricorso ad analogie o similitudini dove possibile, negli affari lo sport è uno dei «paralleli» preferiti, facendo attenzione che l’analogia sia davvero familiare all’audience. Selezionare dei concetti che abbiano un reale interesse ed impatto emotivo dal punto di vista di ascolta, non solo di chi parla. E poi naturalmente c’è tutto l’aspetto visivo vocale già visto. Una corretta modulazione vocale, l’utilizzo delle pause hanno la capacità di eccitare, entusiasmare e rendere partecipe l’audience. L’energia espositiva del presentatore si infonde al pubblico attraverso la sua voce, la sua gestualità ed il suo contatto visivo. O anche semplicemente attraverso il sorriso.
La buona notizia è che si tratta di cose semplici, ed innate in ognuno di noi come i neonati ci ricordano. Sostanzialmente nasciamo già predisposti per una comunicazione emozionale. Si tratta solo di evitare di focalizzare le nostre forze solo su elementi secondari, quali i supporti visivi ad esempio, e tornare a concentrarci su quei fattori che fanno la vera differenza fra una presentazione di successo e l’ennesimo fiume di parole. Non occorre un particolare allenamento, solo dedicare la giusta attenzione sia durante la fase preparatoria che quella espositiva. Ricordate: voi siete il messaggio! Usate la vostra voce, il vostro corpo e la vostra preparazione per presentare! Suscitate emozioni nel vostro uditorio ed esso ascolterà voi ed il vostro messaggio.
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