Grazie ad una collana sui grandi discorsi del secolo passato ho avuto il piacere di leggere due discorsi di Nelson Mandela.
Oltre alla grande ispirazione morale sono anche fonte di insegnamento di oratoria. Si tratta di due discorsi molto diversi e distanti nel tempo.
Del secondo discorso, quello di insediamento spero di parlarne presto.
Oggi mi ispiro al primo, più lungo, quattro ore, al tempo del processo di Rivonia.
Dell’intera esposizione vorrei sottolineare due punti che la rendono particolarmente efficace. Lo stile asciutto e ficcante e la forte conclusione.
Partiamo dal primo, un esempio efficace è il seguente passaggio dove Mandela, accusato di essere comunista perché alleato con loro, spiega come il fatto di avere un obiettivo parziale comune possa far nascere alleanze senza che ci sia una totale comunione di idee. Qui un oratore poco efficace potrebbe indugiare in lunghi giri di parole, dissertazioni, altisonanti locuzioni verbali e altro ancora. A volte per sfoggio di cultura, o nella vana speranza che l’eloquenza sia di aiuto al sostentamento del concetto. Mandela usa giusto le parole che servono:
Basta pensare ad alcuni dei nostri esponenti politici per immaginare come si poteva rendere prolissa e diluita la stessa esposizione.
Il secondo punto è la conclusione memorabile. L’inizio e la fine di una presentazione o di un discorso sono i passaggi più importanti. Una partenza sbagliata ed il rischio è di perdere il pubblico o la credibilità. Una chiusura debole e l’impatto emotivo dell’intero discorso, qualora ci fosse stato, viene affievolito.
Al contrario una chiusura straordinaria e passerà di bocca in bocca, oggi di sito in sito. Quella di Mandela dà il titolo al discorso ed è entrata nella storia.
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